Odorico e la Relatio
Se si escludono notizie poco attendibili fornite da testimonianze tarde e talvolta ideologicamente connotate, i dati sicuri sulla biografia di Odorico sono pochi. Odorico nacque probabilmente tra il 1275 e il 1280 e morì il 14 dicembre 1331 (quindi tra i 50 e i 55 anni). Documenti d’archivio segnalano la sua presenza nel convento di San Francesco di Cividale il 12 maggio 1316; presso l’insediamento udinese di Castel Porpetto il 24 marzo 1317; nel refettorio dei frati Minori di Portogruaro nel luglio 1318. Pare che fosse una personalità autorevole, con relazioni altolocate (tra le quali quella con il potente nobile friulano Artuico da Castello, vescovo di Concordia dal 1317 al 1331) e forse anche incarichi diplomatici presso la curia papale ad Avignone (cfr. Tilatti 2001).
Come Marco Polo, Odorico beneficiò dell’eliminazione delle frontiere politiche che fu la felice e involontaria conseguenza della pax mongolica, che dai primi decenni del Duecento alla fine del Trecento (1206-1368) annullò la frammentazione geopolitica asiatica entro il più vasto impero mai creato. Partito nel luglio 1318 (così nel volgarizzamento chiamato Memoriale toscano (cfr. Monaco1991), Odorico seguì all’andata la cosiddetta via meridionale, viaggiando via terra e poi via mare; rimase circa 3 anni (forse tra il 1323-1327) presso la corte del khan Yesün Temür (r. 1294 -1307) a Cambalec, e al ritorno prese la via settentrionale, cioè la via della Seta, viaggiando unicamente via terra, attraverso l’Asia centrale (per una ricostruzione puntuale dell’itinerario, cfr. Andreose 2012a, 8-12). Rientrato dal viaggio entro il 1330, Odorico ripartì per Avignone per ottenere dal papa l’autorizzazione a tornare in Oriente portando con sé cinquanta confratelli. Giunto a Pisa, dove aspettava di imbarcarsi per la Francia, si ammalò però gravemente e, trasportato a Udine, morì il 14 gennaio 1331. L’anno dopo, i suoi resti furono tumulati nella chiesa del locale convento di San Francesco, e traslati poi nel Settecento nella chiesa del Carmine.
La storia testuale della Relatio mirabilibus orientalium Tatarorum, dettata da Odorico a Padova, nel maggio 1330, al confratello Guglielmo da Solagna è tanto complessa quanto fortunata, almeno in parte favorita dagli intenti propagandistici legati ai precoci e continuati tentativi di canonizzazione del Frate (cfr. Tilatti 2004, 347-354; Marchisio 2016, 78-90; Andreose 2012a, 9-10). Marchisio (2016) recensisce 113 manoscritti, caratterizzati da un’estrema varietà linguistica e da un altrettanto estremo attivismo testuale, dovuto non solo ai consueti meccanismi di copia e traduzione, ma all’esistenza di redazioni successive che, facilitate dalla struttura episodica e dallo stile paratattico del testo, ne incrementano progressivamente la materia attraverso aggiunte di autenticità incerta e spesso di origine orale (cfr. Andreose 2007).
La tradizione indiretta della Relatio conta di molteplici traduzioni in tutte le principali lingue europee; oltre alle versioni castigliana (versione contenuta entro il Libro llamado Ultramarino, cfr. Popeanga 2007), gallese (cfr. Williams 1929), tedesche (due redazioni, cfr. Strasmann 1968, Gröchening 1988, Marchisio 2011), vanno in particolar modo ricordate le due redazioni francesi, quella precocissima (1331-1333) di Jean de Vignay (cfr. Trotter 1990), e quella prodotta nel 1351 da Jean Le Long d’Ypres (cfr. Andreose/Ménard 2010), rifusa nei fortunatissimi Viaggi di Mandeville, senz’altro uno dei maggiori vettori della fortuna romanza dell’opera odoriciana (cfr. Andreose 2012b).
Attraverso la classificazione di tutti i manoscritti latini e volgari sulla base di determinati elementi redazionali –dichiarazioni incipitarie o sottoscrizioni finali, più un capitolo di autenticità incerta, tradizionalmente definito De reverentia Magni Chanis – (cfr. Chiesa 2000), Marchisio (2016) ipotizza l’esistenza di un archetipo latino «X» rimaneggiato in tre forme testuali successive: la «fase A», rappresentata da 32 manoscritti (15 latini e 17 volgari) che discendono dall’originale «XA» e costituiscono lo stadio più antico dell’elaborazione del testo; la «fase B», testimoniata da 25 manoscritti che discendono da un esemplare aucto «XB» (è la cosiddetta Recensio Marchesini, sottoscritta e portata ad Avignone da Marchesino da Bassano; da essa deriva la Recensio Henrici – o redazione D – prodotta da Enrico di Glatz); la «fase C» derivata dall’ulteriore elaborazione di XB e dalla sostituzione della sottoscrizione di Marchesino con quella diGuglielmo da Solagna (è la Recensio Guillelmi).